Una delle cose meno considerate nel calcio, ma accade anche in altri sport, è
l’alimentazione, me ne resi conto negli anni in cui lavoravo come responsabile della preparazione del settore giovanile della Reggina Calcio.
Sembra un’affermazione forte, ma non lo è, perché i calciatori,
tranne rari casi, non conoscono i principi base dell’alimentazione.
Nel calcio
si pensa molto agli integratori, si pensa molto alle proteine, e poi si
finisce a mangiare cibo spazzatura, con grandi quantità di grassi saturi e proteine, cercando di incamerare calorie (la fame è
fame) e vanificando gran parte del lavoro svolto in campo.
Il punto è che non
ci sono adeguate conoscenze in materia, perché pure essendoci parecchie
ricerche, queste spesso non sono prese in considerazione nella stesura di una
periodizzazione degli allenamenti e delle fonti energetiche da utilizzare in
associazione a questi.
Questo perché manca ancora la cultura di associare
l’organizzazione del carico fisico con quella alimentare e con il recupero. Ecco
perché i calciatori mangiano più o meno
come la popolazione non sportiva, anzi esasperano alcuni aspetti nella ricerca
delle calorie preferendo, come dicevo prima, alimenti inadeguati.
Questa cosa
comporta un gap energetico durante la partita che può andare a discapito della
prestazione fisico/tecnica. Cosa che si manifesta con maggiore gravità durante
periodi di partite ravvicinate. Non basta bruciare calorie, per andare forte
fino in fondo devi bruciare quelle giuste, quelle con il miglior rendimento
possibile. Le conoscenze alimentari dei calciatori sono indicazioni tramandate
da fonti varie e spesso non qualificate, e da qui l’affermazione:
“le abitudini alimentari dei calciatori spesso non sono
compatibili con le massime prestazioni fisiche”
Cosa serve realmente ad un calciatore? In che quantità?
Quando?
Possiamo, brevemente, fare un poco di luce sull’argomento.
Per prima cosa identifichiamo il calcio come uno sport di
tipo intermittente. Pure non essendoci in letteratura una definizione univoca,
si sa che un’importante intervento del sistema aerobico va a sostegno del
sistema alattacido nel recuperare il CP (creatin fosfato) e nello smaltire eventuale
lattato formatosi durante le azioni più intense. Il termine intermittente
deriva dalla discontinuità dell’azione, infatti si tratta di azioni molto
intense, con grande impegno muscolare, brevi e ripetute. In alcuni casi, fra
azioni di corsa intensa, corsa a media velocità, corsa lenta e cammino un
calciatore può coprire distanze superiori ai 10 km. Alcuni ricercatori
segnalano, nel calcio, punte di 13 km.
Il vantaggio di un’azione intermittente
sta nella qualità, perché permette a parità di frequenza cardiaca potenze
maggiori rispetto alla corsa continua e soprattutto utilizza una qualità di
fibre muscolari più congeniali allo sport in questione. In alcune ricerche è
emerso che correre con un’intensità pari al proprio Vo2 max in modo continuo
esaurisce l’azione dell’atleta dopo pochi minuti, circa 8, mentre eseguire
corse intermittenti allo stesso Vo2 max, o addirittura superandolo, permette di
reiterare l’azione per diverse decine di minuti.
L’utilizzo di allenamenti
intermittenti con cambi di ritmo e cambi di direzione pone l’allenamento intermittente
come l’unica soluzione logica al lavoro sul campo. Come chi legge saprà
sicuramente, il creatin fosfato non ha depositi muscolari infiniti, anche se
non si esaurirà mai completamente, espletato uno sforzo che può andare da pochi
secondi, da 4-5 a 20-30, bisogna permettere alle fibre muscolari il tempo di risintesi adeguato. Ad esempio se
viene riproposta una nuova azione dopo ulteriori 20 secondi, il muscolo avrà ripristinato
circa il 50% del potenziale energetico e così via.
È il meccanismo aerobico che interviene tra le pause a
permettere questo recupero, la frequenza cardiaca media si assesta dopo qualche
ripetizione sulle 180/185 pulsazioni minuto e rimane costante per diversi
minuti, fino al calo della potenza meccanica.
La domanda sorge spontanea: cosa diamo da mangiare al calciatore?
La risposta è scontata: carboidrati, che detto così sembra
semplice ma non lo è. Le ricerche da anni portano a conclusioni apparentemente
logiche: senza una quantità adeguata di carboidrati nella dieta si perde la
capacità di prestazione, sia fisica che tecnica e questo sia in gara che in allenamento. Si perde lucidità mentale.
La stanchezza sopraggiunge prima.
Altra cosa scaturita dalle ricerche è il valore della
quantità di carboidrati assunti a colazione.
Ad esempio, molti atleti con cui
ho lavorato avevano la pessima abitudine di non fare colazione, che in alcuni
casi, ma solo per brevi periodi, in sport di endurance, può essere sfruttato
come carico aggiuntivo pre allenamento, per abituare l’organismo a determinate
condizioni. Mentre, invece, la colazione può apportare fino al 10% di glicogeno
muscolare in più, a tutto vantaggio della prestazione. Ma quest’ultimo dato va
osservato con attenzione, bisogna capire quando nella settimana di allenamento
è utile fare una colazione più ricca di carboidrati, perché l’alimentazione
deve essere periodizzata, né più né meno come l’allenamento.
Infatti attenzione a non esagerare con un consumo elevato di
carboidrati, perché quando i carboidrati sono in eccesso, mediamente superati i
600 grammi al giorno (in atleti di alta prestazione)
quello che non viene usato diventa massa adiposa. Naturalmente stiamo parlando
di lunghi periodi di assunzioni di carboidrati molto sbilanciate.
Diverso è il discorso se si utilizzano dei carichi di
carboidrati in particolari momenti della settimana; vedremo dopo come
periodizzare.
Una delle soluzioni indicate dai vari autori è inserire nel
piano alimentare carboidrati in forma liquida o gel, associati ad elettroliti,
che sicuramente da’ un vantaggio in termini di praticità e permette una facile assimilazione. Questo, se
unito alla possibilità di assumere le miscele durante l’attività fisica, riduce
la stanchezza e incrementa la prestazione.
E pensare che molti allenatori con
cui ho lavorato si ostinavano a fare bere pochissimo durante l’allenamento, perché pensavano, così facendo, di “forgiare”
l’atleta.
Ancora ricordo le volte che sono dovuto entrare in campo per
“ricordare” al tecnico di fare reidratare gli atleti.
Sempre queste miscele
possono avere un ruolo importante, se assunte dopo allenamento, nel favorire il
recupero.
In genere, queste miscele, a base d’acqua, dovrebbero avere
una concentrazione al 5% di sali minerali, in modo da essere considerate ipotoniche
e una quantità adeguata, di zuccheri. Le maltodestrine sono molto usate,
generalmente derivate dal mais o dall’avena, ma vanno organizzate secondo il
loro indice glicemico, che in alcuni casi è altissimo. È fondamentale ottenere uno
svuotamento gastrico veloce, e una ricarica altrettanto rapida e questo si
ottiene associando all’acqua, sia delle maltodestrine che sali minerali. Va
ricordato che il comune saccarosio ha un tempo di svuotamento gastrico differente
dalle maltodestrine (diversa osmolarità) e quindi in alcuni casi vanno abbinati
per massimizzare il risultato.
Il ruolo delle proteine.
Una grande controversia è nata sull’uso massivo delle
proteine. Provo a fare chiarezza.
Servono? Si. Ma non come si pensa. Rientrano
tra i substrati energetici utilizzati durante l’attività contribuendo per al
massimo il 3%, questo ci dà una precisa indicazione di come, quando e quanto
usarne e allo stesso tempo ci allontana dalle abitudini poco sane di fare carichi di aminoacidi e proteine del
siero sovradimensionati rispetto all’effettiva utilità, che servono solo a
sovraccaricare il sistema epatico.
Quello che bisogna sapere è che le proteine o meglio gli
aminoacidi vanno integrati immediatamente dopo la fine dell’allenamento. In
caso contrario il bilancio proteico rimarrà negativo con una probabile perdita
di massa muscolare. Il tipo di contrazione muscolare, eccentrica, tipico dei
regimi intermittenti associati a sport di situazione con continue frenate,
cambi di senso e ripartenze, porta a microlesioni muscolari che pure avendo un
periodo di riparazione di circa 72 ore trovano un vantaggio dalla
somministrazione di proteine ed uno svantaggio dalla loro mancanza. Le ricerche
indicano l’assunzione di miscele di carboidrati con aggiunti 3-4 grammi di aminoacidi. Mediamente
si interviene con dosaggi che vanno da 0,5 – 0,8 grammi ogni 10 kg di peso
corporeo per ora di allenamento o gara sostenuta. Ricordando che la tempistica di assunzione è
più importante della quantità stessa.
Che carboidrati usare?
Bisogna, come si diceva all’inizio, periodizzare gli
alimenti come se fossero esercitazioni fisiche.
Iniziamo con distinguere tra carboidrati con indice
glicemico basso e alto.
Si capisce che i pasti principali debbano essere a base di
carboidrati complessi a lento rilascio, con uno spettro di nutrienti il più
completo possibile, cosa che è assicurata ad esempio da alimenti integrali. In
questo modo si eviteranno crolli della glicemia e le loro conseguenze.
Invece, in alcuni momenti in cui si ha bisogno
di stimolare il rilascio di insulina in modo massiccio, nella fasi di recupero
ad esempio, si possono usare fonti di carboidrati raffinate, povere di
nutrienti ma che riescano a rifornire in tempi brevissimi la cellula, come le
miscele di cui scrivevo prima.
Ricordo che l’apporto giornaliero di carboidrati
per un calciatore deve essere tra il 60-70%. Allo stesso tempo, rammento, che
con l’uso di alimenti integrali, il quantitativo di fibre altera il transito
intestinale, nel bene e nel male, per cui bisogna programmare anche questo nel
piano alimentare.
Che proteine usare
Le proteine utilizzate come fonte energetica si assestano
attorno al 3% del totale, mediamente nel
secondo tempo della partita; il momento
in cui il corpo inizia a “cannibalizzare” se stesso. Le proteine, oltre ad essere utilizzate come
fonte energetica, in carenza di carboidrati, hanno il compito di riparare i
muscoli e organi che hanno perso parte della loro massa durante lo sforzo.
L’assunzione di proteine nel post esercizio migliora notevolmente l’adattamento
allo sforzo sostenuto. Un depauperamento delle scorte di glicogeno, può portare
a una ricerca maggiore delle proteine durante i pasti. Nella scelta delle fonti
alimentari proteiche, l’indicazione va verso il pesce, le carni magre e alcuni
mix di legumi. Alcuni autori consigliano il consumo di derivati della soia, ma
io li sconsiglio data la presenza di fito-estrogeni in questi alimenti.
Il quantitativo indicato dalle ricerche è di 0,25/0,40
grammi di proteine per kg per pasto, raggiungendo la quota più alta nei momenti
di carico acuto.
E i grassi?
In una alimentazione sana si escludono i grassi… Sbagliato!
I grassi servono, perché li si usa come carburante e perché rientrano in
moltissimi processi biologici.
I grassi vanno ridotti come quantità e aumentati
come qualità. Puntando su grassi insaturi e polinsaturi derivati dal pesce o da
frutta a guscio e EVO. I grassi non rappresentano la principale fonte
energetica nel calcio, ma alcune fasi a bassa intensità della partita,
favoriscono il loro uso, e anche nel loro caso, nel momento in cui le scorte di
glicogeno vengono meno, il sistema attinge
ai loro depositi. Durante simulazioni di sforzo prolungato si è visto
che il sistema ossida quantità di grassi
da 0,25 a 0,35 grammi minuto. Questo andamento si riduce se durante la partita
si assumono carboidrati. Si inverte nei test di laboratorio. Il corpo ha di meglio da utilizzare. Assumere grassi
oleosi, omega 3, olio EVO, e pesci grassi contribuisce in parte a diminuire
l’indolenzimento muscolare (provocato dalla produzione di ammoniaca) e a
migliorare il recupero contrastando l’insorgenza ritardata del dolore post
gara. Quello che si manifesta a 24 ore e si tiene attivo fino a 72 ore dal
termine.
Come nutrirsi
L’alimentazione va organizzata idealmente, in giornaliera,
mirata alla gara, intra-allenamento, post
allenamento, pre-gara – intra gara – post gara.
Giornaliera, deve
contenere il bilancio calorico del soggetto, prodotto da fonti alimentari
organizzate secondo le necessità del
tipo di attività che si va a svolgere. In questo caso si utilizzeranno
carboidrati in misura tra il 60 e il 70% scegliendo alimenti di alta qualità e
con un rilascio lento (indice glicemico basso). Unito a proteine e grassi insaturi così come spiegato precedentemente.
Mirata alla gara,
si prevede un incremento del carico di carboidrati, distribuito tra i pasti
principali nelle 24/48 ore precedenti la gara per aumentare il contenuto di
glicogeno nei muscoli.
Intra allenamento,
con la soluzione di carboidrati in forma liquida abbinati a elettroliti.
Post allenamento,
con aminoacidi abbinati a carboidrati a
rilascio veloce per massimizzare la sintesi proteica sfruttando il meccanismo
insulinico. Per correttezza va detto che già gli aminoacidi di per sé hanno la
capacità di stimolare l’insulina come se fossero degli zuccheri.
Pre-gara, a
secondo degli orari della gara si devono organizzare bene i tempi di colazione,
pranzo e eventuale spuntino (al massimo entro 60 minuti prima della partita),
ma è fondamentale l’uso di carboidrati complessi a basso indice glicemico nella
quantità di circa 1 grammo per kg di peso corporeo, eliminando cibi con eccesso
di fibre o cibi grassi. La tempistica dell’ alimentazione deve essere
organizzata in modo tale da fare
iniziare la partita sazi ma non con il cibo da digerire.
Intra-gara,
assunzione di carboidrati in forma isotonica abbinati a elettroliti, per
conservare le scorte di glicogeno fino al termine della partita. Il momento
migliore di assunzione è l’intervallo trai due tempi.
Post gara,
recuperare il più possibile quello che si è speso in partita, reintegrando
rapidamente nell’immediatezza del termine, sia carboidrati che aminoacidi, come
detto in precedenza per il post allenamento.
Allo stesso modo il pasto post partita deve essere
organizzato per ottenere il ripristino dei substrati energetici, che pure non
potendo essere totale deve portare ad un punto di equilibrio che permetta un
recupero organico ottimale, sapendo che il recupero completo del giocatore si
avrà in circa cinque giorni, coincidente all’incirca con il carico glicemico
pre gara. Questo dovrebbe fare pensare gli allenatori e i preparatori.
Obiettivi
Educare il giocatore e organizzare l’alimentazione corretta,
per poter utilizzare tutto quello che la moderna metodologia dell’allenamento e
la tattica consentono al giorno d’oggi. Solo rompendo gli schemi con il passato
e con le tradizioni tramandate si
possono alzare le prestazioni, ridurre gli infortuni e allungare le carriere.
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