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Allenare l’uno contro uno con le neuroscienze



 Il video che seguirà dopo, ha come argomento l’allenamento dell’uno contro uno. In effetti l’obiettivo del video e di questo post che serve a ampliare i concetti, è parlare di allenamento prendendo lo spunto dall’uno contro uno, per poterne parlare anche da altri punti di vista, quello delle neuroscienze a esempio e che non siano la tecnica, la tattica o le capacità condizionali. Tutto per  iniziare a parlare di come tutte queste capacità concorrano nella realizzazione della performance. 


Immaginiamo per un attimo che tutte queste capacità siano programmi che servono a far funzionare una macchina. Avremo dei servomeccanismi che si attiveranno nella giusta sequenza e con la giusta forza grazie al programma che abbiamo inserito dentro la macchina. Se vogliamo che la macchina sia dotata di intelligenza artificiale, dobbiamo inserire un programma apposito che utilizzerà dei sensori di posizione, ottici, di calore, di pressione, ecc. per scandagliare l’ambiente e imparare. Così da potersi muovere in autonomia.


Questo per dire che se devo insegnare la tattica o la tecnica dell' uno contro uno o di un pick and roll o di qualsiasi altro schema o movimento,  di un  qualsiasi sport, devo immettere i dati in una forma che sia comprensibile alla macchina.


Ampliamo ora alcuni punti che vedrete appena sfiorati nel video.


La vista.


Da studi sui movimenti oculari emerge che la vista non funziona come pensiamo noi. Quando il nostro giocatore  parte per raggiungere un posto, ad esempio dalla linea del tiro libero va verso il canestro, o dal dischetto di rigore va verso la porta, la prima cosa che  farà è quella di dare un colpo d’occhio al punto di arrivo, cosa che permetterà  al suo sistema nervoso di costruire una mappa approssimativa dell’ambiente, e così di realizzare il primo passo nella giusta direzione - sempre se la mappa sia discretamente corretta. - A questo punto il resto del percorso sarà fatto di aggiustamenti oculari  che permetteranno al giocatore di districarsi tra gli ostacoli del percorso. - avversari-  Questi aggiustamenti - ulteriori colpi d’occhio o fissazioni oculari- si ridurranno di numero mano a mano che la distanza diminuisce. Però, se gli ostacoli saranno evidenti e ingombranti, saranno necessari nuovi  movimenti di fissazione oculare per poterli riconoscere e evitare, mentre, se invece si tratta di piccoli ostacoli il giocatore si affiderà alla visione periferica, e gli occhi non si fisseranno su altri obiettivi, lasciando inalterata l’immagine mentale, con conseguente risparmio energetico.  Ricordo che il cervello non vuole spendere energie inutilmente e non per questo non si cambia idea facilmente.


Tornando all'allenamento, abbiamo ora ulteriori possibilità di scelta: usare  ostacoli piccoli, come i  cinesini o ostacoli grandi come le  sagome, o entrambi o difensori attivi e cinesini, ecc. Scegliendo di volta in volta se si vorrà stimolare la viasione periferica o costringerla a produrre più fissazioni oculari e incrementare il flusso ottico. Volendo, ci si può sbizzarrire cercando soluzioni che costringano gli occhi e il cervello del nostro atleta a produrre un lavoro extra. 

Da queste poche righe si capisce che molti allenamenti basati sull’intuito dei tecnici spesso sfiorino questi argomenti. Se però non si da una logica alle cose si rischia che le cose non siano risolutive.

Forse per loro è il momento di approfondire ulteriormente.


Dove sta la difficoltà dell’allenare?


Nel farsi capire dal proprio giocatore. 

 



E qui entriamo in un’altro campo: l’insegnamento. 

Negli ultimi anni si è parlato di neuroni specchio - penso di fare prossimamente un post a riguardo - la conoscenza di questi neuroni specchio potrebbe essere un aiuto per allenare meglio, sempre se si capirà come stimolarli. 

 

Su azioni “primitive” sicuramente hanno una certa  funzionalità, come ad esempio: il primate impara a mettere la mela in bocca per imitazione, lo stesso accade per i bambini che apprendono per imitazione.

 Su un tipo di azione più complesso come il pick and roll, la loro gestione diventa più complicata. 


Ho visto allenatori disperati nel far comprendere movimenti di questo tipo ai loro giocatori, tanto da sfiorare l’omicidio... Naturalmente esagero, ma la rabbia e la frustrazione di questi  erano tante che poco ci mancava. 



Per poter potenziare il nostro insegnamento tramite i neuroni specchio, o almeno provarci, bisogna considerare alcuni fattori.  Il primo, la distanza tra scena da “copiare” e allievo, che deve essere minima, da mie osservazioni  in campo, non deve andare oltre i 4 metri. Questo perché i neuroni specchio agiscono in due direzioni, quella motoria e quella emotiva. Quella emotiva - che sembra mancare in alcuni soggetti affetti da determinate patologie - mancanza che poi si ripercuote in alcuni aspetti molto particolari,  si attiva anche a distanza, ad esempio guardando una scena da lontano o anche guardando un film commovente. Probabilmente rientra tra i fattori che producono l’empatia. Ma al contrario di questa, che può essere una sorta di riflesso arcaico che la nosta evoluzione ha prodotto per scopi facilmente comprensibili, apprendere tramite un video o stando dalla parte opposta del campo non è possibile,  non ci si riesce proprio. 

Se avete riscontri differenti parliamone sono molto interessato. A proposito i clinic con uno in mezzo al campo e gli altri sugli spalti dovreste evitarli.


Altra cosa  da capire è che i neuroni specchio, sempre secondo il mio parere, facendo parte di meccanismi arcaici si attivano su movimenti lenti, anche incompleti o  mimati.  Sembra che siano  meno “pronti” su movimenti rapidi.

 

 Tornando agli occhi, bisogna sapere che l’immagine non va dagli occhi alla retina, ma dalla retina agli occhi, per cui gli aggiustamenti oculari - fissazioni- servono a aggiustare l’immagine precostituita. Si capisce che un movimento lento o mimato impegnerà  di più il sistema nervoso che sarà impegnato a segurrlo,  di uno ad altissima frequenza che sarà per buona parte cancellato.

 

Altra cosa importate è il tipo di comunicazione verbale e non verbale tra istruttore e atleta, anche qui c’è un mondo da scoprire, e una volta scoperto, si capirà che il giocatore che vorremo prendere a pallonate non ha colpe e che magari siamo noi a non essere in grado di comunicare nel suo linguaggio.


Per chiudere accennerò allai coordinazione e alla creatività.


 La prima serve a poco senza la seconda, non alleniamo giocolieri o funamboli, abbiamo bisogno di persone creative che utilizzino il corpo in modo creativo. 


Parafrasando Bernestain con la “ripetizione senza ripetizione” il gioco della vista e dei neuroni specchio rientra con l’apprendimento della giusta sintassi motoria, troppo spesso abbandonata nella ricerca della sintesi. Cosa che sta creando non pochi problemi agli atleti. Rendendo le nuove leve "dislessiche"dal punti di vistsa motorio.

La sintesi, o meglio la riduzione dei gradi di libertà è il risultato dell’esplorazione del movimento finalizzato. Se questa esplorazione è ampia, il sistema nervoso potrà scegliere come rendere  il movimento prteciso e economico quando se ne presenterà l'occasione.


Faccio un esempio: se dico ad un atleta seduto per terra: 

alzati! 

 

Si alza componendo una sequenza di movimenti che già conosce e pratica in quella situazione, se poi continuo, e gli dico, fallo in modo differente, lui dovrà inventare una nuova sequenza, sempre se ne sarà capace, perché, sappiatelo, questo non è scontato, e se io continuo a fare richieste di questo tipo  con l'aumentare delle scelte lo metterò sempre più in difficoltà. 

 

E’ normale, che quando sarà da solo e dovrà rialzarsi userà il movimento per lui più naturale, che magari ha scoperto proprio in questa occasione, ma è altrettanto normale che se la situazione di partenza cambia, ad esempio è caduto rotolando, avrà la possibilità di creare rapidamente una nuova sequenza motoria per alzarsi.

 

Questo è una delle modalità di lavoro che uso in fase iniziale di un programma di apprendimento, e che cerco di fare combaciare progressivamente   con movimenti tecnici in modo che la mole di informazioni che raggiunge l'atleta permetta al sistema nervoso di ridurre i gradi di libertà e nello stesso tempo di essere in grado di improvvisare. 


Dimenticavo, se volete  che l’insegnamento tecnico sia memorizzato, dovete scatenare una reazione emotiva. Ma questa è un’altra storia.



Per quanto riguarda l’allenamento di situazione che è quello che fornisce al giocatore maggiori risorse,  molti si accontentano di fare giocare e basta,  "modello compitino che si  svolge da solo", dicendo che il problem solving farà il rresto, dimenticando o non sapendo che una situazione ripetuta nel tempo, sempre con gli stessi elementi e le stesse modalità, non è una scelta intelligente perchè perde efficacia a ogni ripetizione.  Un poco come il giorno della marmotta, rivivi la stessa situazione e non esci dal loop temporale.


 

Intensità, frequenza e varietà degli stimoli devono variare continuamente.


Buona visione e se ne avrete voglia possiamo parlarne sulla mia pagina Facebook








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