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Perché cambiare le mutande fa comunicare meglio.


Disegno di Gae Rosace


 La cosa che consiglio a giovani allenatori  e preparatori è di non guardare quello che fanno quelli bravi, ma di osservare come lo fanno e  cosa dicono. Gli allenatori, si sa, sono concentrati su schemi e moduli, tralasciando spesso le cose  importanti. 


Sia gli allenatori che i preparatori sono quasi sempre convinti di saperne di più degli altri, a volte anche di chi ha vinto qualche titolo NBA, o più Champions… Infatti,  sistematicamente, vanno ai clinic e riportano qualche  schema o  esercizio che dopo “miglioreranno”. 


Capire come parlare  è importante, come lo è sapere parlare a se stessi.


Quelli che vincono a ripetizione, per più campionati, con diverse squadre, non sono necessariamente quelli più bravi tecnicamente. Sono quelli che hanno compreso o semplicemente hanno avuto la fortuna di incasellare una serie di procedure verbali vincenti. Parole e azioni.

Ecco cosa devi studiare. Imparare la loro terminologia, la sequenza delle parole, le metafore che usano. Devi osservare e sentire  come spiegano  lo  schema, alla loro squadra.


 Se senti frasi dette in modo strano, non sorridere, non deridere, alcune costruzioni verbali, spesso grammaticalmente “poco fluide”, penetrano nel cervello con più facilità. Cerca solo di analizzare perché  a loro riesce meglio di te spiegare lo schema. 


Ti racconterò di alcuni comportamenti che ho osservato in questi anni e possono essere fonte di ispirazione per il tuo miglioramento, anche se non sei un allenatore. Attenzione, metterò in evidenza comportamenti vincenti e comportamenti da migliorare, le persone da cui ho tratto ispirazione sono fior di  professionisti che sono molto più di quello che stai leggendo.


La scaramanzia.


Bisogna evitare di confondere la scaramanzia con le azioni vincenti. Come nel caso del tizio, un allenatore,  che teneva  addosso la stessa biancheria con cui aveva vinto, fino alla prima sconfitta, cosa che poteva diventare un desiderio inconscio di perdere visto il disagio che la cosa doveva comportare. 

 A  lui e a chi gli stava intorno…


La scaramanzia, quando è legata al fato, è molto pericolosa, il cervello umano registra gli avvenimenti e li confronta continuamente con il vissuto in una forma di anticipazione cognitiva. Se si punta  su fattori che hanno una variabilità, per così dire ambientale, ed a esempio: “vinco quando c’è il sole” il tuo cervello non ti aiuterà nei giorni che è nuvolo. Questa è stata un mio errore cognitivo… un giorno lo racconterò.


Se pensi un attimo a questa cosa, troverai centinai di esempi di scaramanzia pericolosamente inutile. 

Il cervello, sempre lui, senza avvisarti, farà un’altra cosa: metterà a confronto le volte che il tuo rito scaramantico ha avuto successo e le volte che è stato un fallimento, e nonostante tu continui a perpetrarlo il tuo inconscio ti boicotterà, dato che la percentuale di risultati negativi sarà mediamente maggiore di quelli positivi. In pratica il primo a non crederci sarai proprio tu, e farai scelte errate.

Se ti tocchi gli attributi e vinci sempre continua a farlo, se ti tocchi gli attributi e hai il 60% di sconfitte subite, evita, il tuo cervello se lo ricorda e ti definisce stupido.


Diverso è il rituale che un fa l’ atleta prima di una gara, che può avere, se organizzato bene, un effetto sciamanico e trasportare l’atleta in una modalità operativa specifica. Ma anche qui, il rischio è che il rituale ti trascini in un sistema di auto-boicottaggio. Il rituale  deve essere il più neutro possibile,  studiato con attenzione, in modo da non lasciare al cervello la possibilità di registrare  incertezze che possano saltare fuori nel momento meno indicato. E’ necessario richiamare stati di coscienza alterata, trance, senza che questi possano essere smontati da fattori casuali. Va studiato con attenzione,  fatti aiutare ad imparare, seguimi. Il risultato finale dipende molto da questo fattore, bisognerebbe insegnarlo insieme ai fondamentali. 

Le cose che ho appena detto sul cervello, le ritroverai nelle  prossime cinque storie sul modo di comunicare.


Il comunicatore geniale ma inconsapevole

Un allenatore, che se avesse spinto di più sulla conoscenza tecnico/tattica avrebbe ottenuto ben altri risultati, riusciva a sopperire in parte alla cosa utilizzando una tecnica di comunicazione e coinvolgimento   molto precisa. Quando parlava con qualcuno si rivolgeva a questo pronunciandone ad alta voce il nome e sporgendosi verso di lui, cosa che oltre richiamarne  l’attenzione, costringeva il tizio ad una vera e propria discesa in campo, responsabilizzandolo. Purtroppo per l’allenatore, la forza di questa “chiamata” era spesso inficiata dalla difficoltà di  risolvere il problema tattico. Altra cosa favolosa era la sua capacità di comunicare con pubblico e società,  con  frasi come: “abbiamo quasi vinto” che vi assicuro è una genialità comunicativa. La sconfitta  era immediatamente perdonata, perché il cervello riceveva “abbiamo vinto”  e produceva ormoni che calmavano gli animi. Ad altri meno abili la panchina sarebbe saltata anzitempo.


Il filosofo che parlava nell’anfora

Un altro allenatore, tecnicamente più  preparato del precedente, con un livello culturale sopra la media, era talmente innamorato del suo IO, tanto da intestarsi tutte le cose positive che accadevano, lasciando agli altri l’onere delle negatività. Esagerava   nello stigmatizzare uno o due elementi del gruppo. Se si fa questa cosa, inizialmente ci sarà un piccolo vantaggio, gli altri membri del team si sentiranno sollevati dall’onere della sconfitta e resteranno sereni. Ma dopo un poco comincerà a serpeggiare il dubbio che l’allenatore non sia in grado di vedere la realtà, perdendo così credibilità. I suoi discorsi filosofici, dopo un primo effetto ipnotico, perdevano appeal. Infatti questo allenatore che andava  benissimo fino a certe categorie poi non riusciva  a fare il salto di qualità e a stabilizzarsi in quelle superiori.

Abbassare il livello “culturale” dei discorsi, rendendoli immediati  a tutti,  anche con frasi apparentemente sgrammaticate, il tutto unito ad  una maggiore  empatia, poteva essere la spinta che gli mancava. 


Hai presente il proverbio “parlare a nuora perché suocera intenda”? È una variazione dell’atteggiamento precedente, che ho visto utilizzare da tutti, anche da  allenatori molto importanti.  In questo caso si crocifiggono i giovani per far capire l’errore ai giocatori di alto lignaggio nei confronti dei quali si nutre un  un timore reverenziale senza senso. Purtroppo serve solo a deprimere i giovani e a scaricare delle responsabilità i “senatori” che oltretutto considereranno l’allenatore un debole perché non è in grado di dire le cose in faccia. 

Nella comunicazione paga sempre dire quello che si pensa direttamente al proprio interlocutore. 


L’oratore troppo eloquente.

Bravissimo allenatore,  con un potenziale enorme, era però innamorato della sua voce, teneva la squadra ferma ogni giorno tra i 30 e i 45 minuti, a volte, quando si faceva molto tardi,  uscivo in campo  per vedere che fine avesse fatto la squadra, e li vedevo tutti seduti a terra  in  religioso ascolto, come chi aspetta il tramonto con  chitarra e il falò. Spiegava minuziosamente ogni cosa. Facendo così, bruciava  le sue qualità,  con continue, interminabili,  interruzioni, cosa che predisponeva agli infortuni e a creare confusione. Se fermi tutti, per ogni errore, l’effetto sulla qualità e sulla quantità  del lavoro è semplicemente devastante, metodologicamente sbagliato. L’essenza stessa degli sport di squadra viene ad essere compromessa, perché la gioia, derivante dalla realizzazione del gioco, con produzione alternata di cortisolo, adrenalina, testosterone, dopamina e serotonina perde la sua vera essenza.


Il Ragioniere ragionatore 


Un altro  tecnico, preparatissimo, persona molto ordinata e precisa, ma poco comunicativa, aveva preso un’abitudine molto precisa: prima di ogni partita, faceva trovare nello spogliatoio un vero e proprio book di indicazioni sugli avversari. Ognuno dei giocatori aveva la sua copia personalizzata. Cosa comporta questa cosa? Ammettendo che i giocatori  leggessero il book - non lo facevano -  gli  avversari non erano tenuti a fare quello che c’era scritto. Il cervello se si aspetta a una cosa che non accade, ti mette in difficoltà serie. Attenzione a dare le informazioni   nel modo giusto, con tempi verbali giusti, altrimenti diventano solo rumore di fondo e confusione. Imparare a comunicare meglio, ad usare meglio le parole, sarebbe stato molto più utile per fare percepire le informazioni. A volte, per superare le nostre carenze ci inventiamo delle strategie che hanno lo scopo di passare la patata bollente agli altri. Ma vi immaginate un gruppo di giocatori che non leggeva un libro dai tempi del liceo, per chi di loro c’era andato,  studiare su un libro mastro le caratteristiche dei loro avversari? Grande imbarazzo cerebrale. Avrebbe dovuto assoldare un disegnatore e fare un fumetto. 


In tutte queste storie il primo attore è sempre lui, il nostro cervello. Consideriamolo neutro come l’hardware di un computer. Se i programmi che ci mettiamo dentro sono buoni fa il suo onesto lavoro, se i programmi hanno dei bug o dei virus, o addirittura sono programmi sbagliati  abbiamo  problemi seri. Quando parliamo al nostro cervello, il nostro dialogo   interno è fondamentale per ottenere i risultati.


La parte iniziale dell’articolo  serve a far capire che il nostro cervello ci tende  delle trappole create da noi stessi. Sono Bias, inclinazioni. Se siamo scaramantici, la cosa, a volte, può provocare ilarità,  ma allo stesso tempo ci può mettere nei guai, mutande sporche a parte. Perché il cervello crea algoritmi di riconoscimento degli eventi e fa continue anticipazioni basate su comparazioni di eventi simili. Se non accade quello che si aspetta, non mette in azione un programma di riserva. Si inceppa, come un gratto in tangenziale  abbagliato dai fari. 

I rituali come già detto possono essere molto potenti, ma devono essere neutri e ripetibili, ne parlerò in un altro articolo. 

Ora che hai compreso che il cervello non è un “amico” di cui fidarsi, ma è un allievo che va istruito, tornando alle  storie  precedenti, risalta che uno degli  allenatori presi ad esempio usava una strategia formidabile, un modello di comunicazione molto preciso, che anche se usato rozzamente  otteneva lo scopo.

La cosa principale che bisogna fare in uno spogliatoio è ridurre le incertezze tra i giocatori, chiamandoli per nome, coinvolgendo sempre  sia il soggetto che il resto della squadra, sfuggendo così all’apatia sociale generata del non sentirsi messi in causa. Hai presente quando un bambino è chiamato per nome e cognome con tono imperativo dai suoi genitori? Che fa? Si pietrifica e torna all’ordine. Ecco dove bisogna agire.


Gli altri allenatori sbagliavano sistema, anziché creare solidarietà attiva, scaricavano le oro inclinazioni sui giocatori ottenendo meno risultati di quelli che avrebbero meritato. 

Ho letto il loro comportamenti in uno studio durato da qualche mese a diversi anni.


L’oratore ad esempio, preparato tecnicamente e tatticamente, aveva davanti praterie sconfinate eppure, il suo eloquio continuo lo ha frenato.  Se qualcuno gli avesse insegnato ad ascoltare e osservare sarebbe stato molto meglio per lui e per le sue squadre. Ascoltare è un’arte, parole, ritmo, tono ti possono aprire scenari che ti permettono di ottenere risultati eccellenti.


Il Ragioniere, probabilmente pensava che quello che va bene per lui potesse andare bene per gli altri. Non è così. Spesso abbiamo a che fare con giocatori che hanno la memoria di un pesce rosso, e pensiamo sia colpa loro, ma è colpa nostra se non ricordano. Se anziché comunicare meglio,  gli dai da leggere Anna Karenina, il venerdì, poi gli dai Guerra e Pace  il venerdì dopo, e continui ogni venerdì, con Dostoevskij, Kafka, o un libro sulle catenarie, …., non ti aspettare che leggano e ti risolvano il problema. Almeno comunica bene,  e spendi più tempo nello spiegare come usare i dati. Anzi faglielo vedere singolarmente.


Il filosofo era talmente pieno di se e pregno della sua cultura che pensava di poter comunicare senza stancare come se stesse parlando con Moravia, Camilleri ed Eco. Dimenticando che i comandi devono essere brevi,  imperativi e rivolti personalmente all’interlocutore. Ricordo ancora le sue metafore non sempre accessibili tratte dalla  prosa. Il filosofo era anche particolarmente scaramantico….


Questa carrellata che arricchirò in seguito, fa capire che il risultato dipende da parecchi fattori, ma il primo fattore siamo noi. Bisogna migliorare su diversi parametri principalmente  su quelli che riteniamo inostri punti forti. Imparare a comunicare, a negoziare, e a vincere persuadendo gli altri a farlo.


Gaetano Rosace




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