giovedì 29 agosto 2019

L’alimentazione del calciatore



Una delle cose meno considerate  nel calcio, ma accade anche in altri sport, è l’alimentazione, me ne resi conto negli anni in cui lavoravo come responsabile della preparazione del  settore giovanile della Reggina Calcio.

Sembra un’affermazione forte, ma non lo è, perché i calciatori, tranne rari casi, non conoscono i principi base dell’alimentazione.  

 Nel calcio  si pensa molto agli integratori, si pensa molto alle proteine, e poi si finisce a mangiare cibo spazzatura, con grandi quantità di grassi saturi e proteine, cercando di incamerare calorie (la fame è fame) e vanificando gran parte del lavoro svolto in campo. 
Il punto è che non ci sono adeguate conoscenze in materia, perché pure essendoci parecchie ricerche, queste spesso non sono prese in considerazione nella stesura di una periodizzazione degli allenamenti e delle fonti energetiche da utilizzare in associazione a questi.

 Questo perché manca ancora la cultura di associare l’organizzazione del carico fisico con quella alimentare e con il recupero. Ecco perché i calciatori mangiano  più o meno come la popolazione non sportiva, anzi esasperano alcuni aspetti nella ricerca delle calorie preferendo, come dicevo prima, alimenti inadeguati. 

Questa cosa comporta un gap energetico durante la partita che può andare a discapito della prestazione fisico/tecnica. Cosa che si manifesta con maggiore gravità durante periodi di partite ravvicinate. Non basta bruciare calorie, per andare forte fino in fondo devi bruciare quelle giuste, quelle con il miglior rendimento possibile. Le conoscenze alimentari dei calciatori sono indicazioni tramandate da fonti varie e spesso non qualificate, e da qui l’affermazione:

 le abitudini alimentari dei calciatori spesso non sono compatibili con le massime prestazioni fisiche  

In un ambiente dove il passaparola diventa prescrizione medica e dove alcuni allenatori, ex giocatori dicono: “questo a me faceva bene quindi fallo pure tu”,  diventa difficile fare cultura e insegnare ai giocatori ad alimentarsi in modo adeguato. Le false credenze si tramandano per generazioni, passando da allenatore a giocatore, che poi diventerà allenatore e le passerà ..ecc. Ecco perché facendo in  questo modo, anche il miglior allenamento possibile sarà inficiato da una scorretta alimentazione. Con un consumo che può attestarsi tra 3500-4000 kcal in allenamento, non si può   ingerire cibo spazzatura e sperare di essere abili fino in fondo alla partita.

Cosa serve realmente ad un calciatore? In che quantità? Quando?

Possiamo, brevemente, fare un poco di luce sull’argomento.

Per prima cosa identifichiamo il calcio come uno sport di tipo intermittente. Pure non essendoci in letteratura una definizione univoca, si sa che un’importante intervento del sistema aerobico va a sostegno del sistema alattacido nel recuperare il CP (creatin fosfato) e nello smaltire eventuale lattato formatosi durante le azioni più intense. Il termine intermittente deriva dalla discontinuità dell’azione, infatti si tratta di azioni molto intense, con grande impegno muscolare, brevi e ripetute. In alcuni casi, fra azioni di corsa intensa, corsa a media velocità, corsa lenta e cammino un calciatore può coprire distanze superiori ai 10 km. Alcuni ricercatori segnalano, nel calcio, punte di 13 km.

 Il vantaggio di un’azione intermittente sta nella qualità, perché permette a parità di frequenza cardiaca potenze maggiori rispetto alla corsa continua e soprattutto utilizza una qualità di fibre muscolari più congeniali allo sport in questione. In alcune ricerche è emerso che correre con un’intensità pari al proprio Vo2 max in modo continuo esaurisce l’azione dell’atleta dopo pochi minuti, circa 8, mentre eseguire corse intermittenti allo stesso Vo2 max, o addirittura superandolo, permette di reiterare l’azione per diverse decine di minuti. 

L’utilizzo di allenamenti intermittenti con cambi di ritmo e cambi di direzione pone l’allenamento intermittente come l’unica soluzione logica al lavoro sul campo. Come chi legge saprà sicuramente, il creatin fosfato non ha depositi muscolari infiniti, anche se non si esaurirà mai completamente, espletato uno sforzo che può andare da pochi secondi, da 4-5 a 20-30, bisogna permettere alle fibre muscolari  il tempo di risintesi adeguato. Ad esempio se viene riproposta una nuova azione dopo ulteriori 20 secondi, il muscolo avrà ripristinato circa il 50% del potenziale energetico e così via.
È il meccanismo aerobico che interviene tra le pause a permettere questo recupero, la frequenza cardiaca media si assesta dopo qualche ripetizione sulle 180/185 pulsazioni minuto e rimane costante per diversi minuti, fino al calo della potenza meccanica.

La domanda sorge spontanea: cosa diamo da  mangiare al calciatore?

La risposta è scontata: carboidrati, che detto così sembra semplice ma non lo è. Le ricerche da anni portano a conclusioni apparentemente logiche: senza una quantità adeguata di carboidrati nella dieta si perde la capacità di prestazione, sia fisica che tecnica e questo sia in gara che   in allenamento.  Si perde lucidità mentale.
La stanchezza sopraggiunge prima.

Altra cosa scaturita dalle ricerche è il valore della quantità di carboidrati assunti a colazione. 
Ad esempio, molti atleti con cui ho lavorato avevano la pessima abitudine di non fare colazione, che in alcuni casi, ma solo per brevi periodi, in sport di endurance, può essere sfruttato come carico aggiuntivo pre allenamento, per abituare l’organismo a determinate condizioni. Mentre, invece, la colazione può apportare fino al 10% di glicogeno muscolare in più, a tutto vantaggio della prestazione. Ma quest’ultimo dato va osservato con attenzione, bisogna capire quando nella settimana di allenamento è utile fare una colazione più ricca di carboidrati, perché l’alimentazione deve essere periodizzata, né più né meno come l’allenamento.

Infatti attenzione a non esagerare con un consumo elevato di carboidrati, perché quando i carboidrati sono in eccesso, mediamente superati i 600 grammi al giorno  (in atleti di alta prestazione) quello che non viene usato diventa massa adiposa. Naturalmente stiamo parlando di lunghi periodi di assunzioni di carboidrati molto sbilanciate.
Diverso è il discorso se si utilizzano dei carichi di carboidrati in particolari momenti della settimana; vedremo dopo come periodizzare.

Una delle soluzioni indicate dai vari autori è inserire nel piano alimentare carboidrati in forma liquida o gel, associati ad elettroliti, che sicuramente da’ un vantaggio in termini di praticità e  permette una facile assimilazione. Questo, se unito alla possibilità di assumere le miscele durante l’attività fisica, riduce la stanchezza e incrementa la prestazione.

 E pensare che molti allenatori con cui ho lavorato si ostinavano a fare bere pochissimo durante l’allenamento,  perché pensavano, così facendo, di “forgiare” l’atleta. 

Ancora ricordo le volte che sono dovuto entrare in campo per “ricordare” al tecnico di fare reidratare gli atleti. 

Sempre queste miscele possono avere un ruolo importante, se assunte dopo allenamento, nel favorire il recupero.
In genere, queste miscele, a base d’acqua, dovrebbero avere una concentrazione al 5% di sali minerali, in modo da essere considerate ipotoniche e una quantità adeguata, di zuccheri. Le maltodestrine sono molto usate, generalmente derivate dal mais o dall’avena, ma vanno organizzate secondo il loro indice glicemico, che in alcuni casi è altissimo. È fondamentale ottenere uno svuotamento gastrico veloce, e una ricarica altrettanto rapida e questo si ottiene associando all’acqua, sia delle maltodestrine che sali minerali. Va ricordato che il comune saccarosio ha un tempo di svuotamento gastrico differente dalle maltodestrine (diversa osmolarità) e quindi in alcuni casi vanno abbinati per massimizzare il risultato.

Il ruolo delle proteine.

Una grande controversia è nata sull’uso massivo delle proteine. Provo a fare chiarezza. 
Servono? Si. Ma non come si pensa. Rientrano tra i substrati energetici utilizzati durante l’attività contribuendo per al massimo il 3%, questo ci dà una precisa indicazione di come, quando e quanto usarne e allo stesso tempo ci allontana dalle abitudini poco sane  di fare carichi di aminoacidi e proteine del siero sovradimensionati rispetto all’effettiva utilità, che servono solo a sovraccaricare il sistema epatico. 

Quello che bisogna sapere è che le proteine o meglio gli aminoacidi vanno integrati immediatamente dopo la fine dell’allenamento. In caso contrario il bilancio proteico rimarrà negativo con una probabile perdita di massa muscolare. Il tipo di contrazione muscolare, eccentrica, tipico dei regimi intermittenti associati a sport di situazione con continue frenate, cambi di senso e ripartenze, porta a microlesioni muscolari che pure avendo un periodo di riparazione di circa 72 ore trovano un vantaggio dalla somministrazione di proteine ed uno svantaggio dalla loro mancanza. Le ricerche indicano l’assunzione di miscele di carboidrati con aggiunti 3-4 grammi di aminoacidi. Mediamente si interviene con dosaggi che vanno da 0,5 – 0,8 grammi ogni 10 kg di peso corporeo per ora di allenamento o gara sostenuta. Ricordando che la tempistica di assunzione è più importante della quantità stessa.


Che carboidrati usare?

Bisogna, come si diceva all’inizio, periodizzare gli alimenti come se fossero esercitazioni fisiche.
Iniziamo con distinguere tra carboidrati con indice glicemico basso e alto.
Si capisce che i pasti principali debbano essere a base di carboidrati complessi a lento rilascio, con uno spettro di nutrienti il più completo possibile, cosa che è assicurata ad esempio da alimenti integrali. In questo modo si eviteranno crolli della glicemia e le loro conseguenze.  
 Invece, in alcuni momenti in cui si ha bisogno di stimolare il rilascio di insulina in modo massiccio, nella fasi di recupero ad esempio, si possono usare fonti di carboidrati raffinate, povere di nutrienti ma che riescano a rifornire in tempi brevissimi la cellula, come le miscele di cui scrivevo prima.
 Ricordo che l’apporto giornaliero di carboidrati per un calciatore deve essere tra il 60-70%. Allo stesso tempo, rammento, che con l’uso di alimenti integrali, il quantitativo di fibre altera il transito intestinale, nel bene e nel male, per cui bisogna programmare anche questo nel piano alimentare.

Che proteine usare
Le proteine utilizzate come fonte energetica si assestano attorno al 3% del totale, mediamente  nel secondo tempo della partita;  il momento in cui il corpo inizia a “cannibalizzare” se stesso.  Le proteine, oltre ad essere utilizzate come fonte energetica, in carenza di carboidrati, hanno il compito di riparare i muscoli e organi che hanno perso parte della loro massa durante lo sforzo. L’assunzione di proteine nel post esercizio migliora notevolmente l’adattamento allo sforzo sostenuto. Un depauperamento delle scorte di glicogeno, può portare a una ricerca maggiore delle proteine durante i pasti. Nella scelta delle fonti alimentari proteiche, l’indicazione va verso il pesce, le carni magre e alcuni mix di legumi. Alcuni autori consigliano il consumo di derivati della soia, ma io li sconsiglio data la presenza di fito-estrogeni in questi alimenti.
Il quantitativo indicato dalle ricerche è di 0,25/0,40 grammi di proteine per kg per pasto, raggiungendo la quota più alta nei momenti di carico acuto.

E i grassi?

In una alimentazione sana si escludono i grassi… Sbagliato! I grassi servono, perché li si usa come carburante e perché rientrano in moltissimi processi biologici. 
I grassi vanno ridotti come quantità e aumentati come qualità. Puntando su grassi insaturi e polinsaturi derivati dal pesce o da frutta a guscio e EVO. I grassi non rappresentano la principale fonte energetica nel calcio, ma alcune fasi a bassa intensità della partita, favoriscono il loro uso, e anche nel loro caso, nel momento in cui le scorte di glicogeno vengono meno, il sistema attinge  ai loro depositi. Durante simulazioni di sforzo prolungato si è visto che il sistema ossida  quantità di grassi da 0,25 a 0,35 grammi minuto. Questo andamento si riduce se durante la partita si assumono carboidrati. Si inverte nei test di laboratorio. Il corpo ha di meglio da utilizzare. Assumere grassi oleosi, omega 3, olio EVO, e pesci grassi contribuisce in parte a diminuire l’indolenzimento muscolare (provocato dalla produzione di ammoniaca) e a migliorare il recupero contrastando l’insorgenza ritardata del dolore post gara. Quello che si manifesta a 24 ore e si tiene attivo fino a 72 ore dal termine.

Come nutrirsi

L’alimentazione va organizzata idealmente, in giornaliera, mirata alla gara, intra-allenamento,  post allenamento, pre-gara – intra gara – post gara.

Giornaliera, deve contenere il bilancio calorico del soggetto, prodotto da fonti alimentari organizzate secondo le necessità  del tipo di attività che si va a svolgere. In questo caso si utilizzeranno carboidrati in misura tra il 60 e il 70% scegliendo alimenti di alta qualità e con un rilascio lento (indice glicemico basso). Unito a proteine e grassi insaturi così come spiegato precedentemente.

Mirata alla gara, si prevede un incremento del carico di carboidrati, distribuito tra i pasti principali nelle 24/48 ore precedenti la gara per aumentare il contenuto di glicogeno nei muscoli.

Intra allenamento, con la soluzione di carboidrati in forma liquida abbinati a elettroliti.

Post allenamento, con  aminoacidi abbinati a carboidrati a rilascio veloce per massimizzare la sintesi proteica sfruttando il meccanismo insulinico. Per correttezza va detto che già gli aminoacidi di per sé hanno la capacità di stimolare l’insulina come se fossero degli zuccheri.

Pre-gara, a secondo degli orari della gara si devono organizzare bene i tempi di colazione, pranzo e eventuale spuntino (al massimo entro 60 minuti prima della partita), ma è fondamentale l’uso di carboidrati complessi a basso indice glicemico nella quantità di circa 1 grammo per kg di peso corporeo, eliminando cibi con eccesso di fibre o cibi grassi. La tempistica dell’ alimentazione deve essere organizzata in modo tale  da fare iniziare la partita sazi ma non con il cibo da digerire.

Intra-gara, assunzione di carboidrati in forma isotonica abbinati a elettroliti, per conservare le scorte di glicogeno fino al termine della partita. Il momento migliore di assunzione è l’intervallo trai due tempi.

Post gara, recuperare il più possibile quello che si è speso in partita, reintegrando rapidamente nell’immediatezza del termine, sia carboidrati che aminoacidi, come detto in precedenza per il post allenamento.
Allo stesso modo il pasto post partita deve essere organizzato per ottenere il ripristino dei substrati energetici, che pure non potendo essere totale deve portare ad un punto di equilibrio che permetta un recupero organico ottimale, sapendo che il recupero completo del giocatore si avrà in circa cinque giorni, coincidente all’incirca con il carico glicemico pre gara. Questo dovrebbe fare pensare gli allenatori e i preparatori.

Obiettivi

Educare il giocatore e organizzare l’alimentazione corretta, per poter utilizzare tutto quello che la moderna metodologia dell’allenamento e la tattica consentono al giorno d’oggi. Solo rompendo gli schemi con il passato e  con le tradizioni tramandate si possono alzare le prestazioni, ridurre gli infortuni e allungare le carriere.

Fonti

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Dorianne Caruana Bonnici - Nutrition in Soccer - A thesis submitted in partial fulfilment of the requirements of Edge Hill University for the Degree of Doctor of Philosophy October 2017

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A-Casas- PHYSIOLOGY AND METHODOLOGY OF INTERMITTENT RESISTANCE TRAINING FOR ACYCLIC SPORTS -Journal of Human Sport and Exercise

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